Topotoma e il rifugio antiaereo

Ci sono dei luoghi segreti che solo un topo conosce.

Le dimensioni di un piccolo roditore consentono di entrare in spazi ristretti e di percorrere piccole vie dentro i muri delle grandi case.

Queste stradine nascoste tra i mattoni portano in posti incredibili, in luoghi che gli esseri umani, in alcuni casi, non ricordano neanche più di aver costruito.

Quando mi trovo in questi posti, di solito poco illuminati ed umidi, sono contento come un esploratore.

In un libro che mi ha fatto vedere Tupun in biblioteca c’è una bellissima illustrazione: un signore, che di nome faceva  Cristoforo, con uno sguardo sognante e felice di fronte ad una isola scoperta dopo più di un mese di navigazione. Penso che quel signore abbia provato ciò che provo io ad entrare di nascosto in questi spazi inesplorati, sconosciuti ai più.

Era questa la sensazione che ho provato quando, qualche mese fa, mi intrufolai nel piccolo foro di un muro di una cascina abbandonata. Percorsi in discesa e al buio una serie di vie strette strette tra i mattoni e sbucai dentro ad un grande salone.

C’era pochissima luce e si intravedevano delle vecchie sedie di legno disposte, una accanto all’altra, contro i muri. C’erano anche un paio di lampadari antichi, tenuti sospesi da un cordoncino che pendeva dal soffitto e che sorreggeva un piattino bianco, di vetro, nel mezzo del quale c’era una lampadina con i fili dentro.

Sui muri della sala si intravedevano delle scritte ma apparivano molto sbiadite, indecifrabili.

C’era odore di muffa, tipico dei locali chiusi da tanto tempo.

«Che strano posto!» pensai tra me e me: «Chissà a cosa poteva servire un luogo così?»

Non era passato un minuto dal mio pensiero quando notai un’ombra.

Nella semioscurità mi parve di riconoscere la sagoma di un ratto.

I ratti, per chi non lo sapesse, sono dei topi ma…. piuttosto grossi e questo, in effetti, sembrava piuttosto paffuto.

«Salve» feci io un po’ preoccupato. La mia voce rimbombò nel locale vuoto ma Il roditore non rispose e , lentamente, mi si avvicinò.

Avevo un po’ di paura sapendo che, talvolta, i miei simili più cresciuti possono essere piuttosto aggressivi ma…. decisi di non muovermi.

Quando il ratto fu a due zampe da me mi resi conto che si trattava di un topone molto vecchio. Aveva dei baffi lunghi e grigi e il pelo, grigio anche quello, tutto arruffato.

«Hai detto qualcosa figliolo?» mi domandò con voce roca.

«Si» risposi io: «L’ho salutata!».

«Ah! Scusami tanto ma non ho sentito. Sto diventando un po’ sordo.»

«Capisco.» risposi: «Capita spesso ai roditori anziani. Io mi chiamo Topotoma e lei?»

«Ah! Io non me lo ricordo più il mio vero nome, ma tutti mi chiamano: “ il topo del rifugio”.»

«Un nome piuttosto originale.» risposi.

«Eh si caro. È davvero particolare.» poi continuò: « Mi chiamano così perché io vivo in questo locale da tantissimi anni e qui, giovanotto, siamo in un vecchio rifugio antiaereo. Lo sapevi?»

«Veramente no.» risposi stupito, quindi domandai: «E cosa sarebbe un rifugio antiaereo?»

L’anziano topone si mise a ridere e poi, con un tono da rimprovero, mi disse: «Voi giovani non sapete nulla della storia eppure è proprio dalla storia che dovreste imparare! Comunque, devi sapere che tanti anni fa in queste zone gli uomini hanno fatto la guerra. Si uccidevano l’uno con l’altro. Essendo degli animali molto pratici hanno inventato delle macchine volanti che chiamano aerei da cui buttavano giù della grosse pentole, chiamate bombe, che scoppiavano appena toccavano il suolo. Queste cose spaventose  cadevano dal cielo emettendo un fischio assordante e, una volta giunte a terra….BOOM! Facevano dei grossi buchi nel terreno ed erano in grado di distruggere qualsiasi cosa si trovasse nei loro pressi: case, raccolti, animali, uomini.

Per cercare di proteggersi dalle bombe alcuni esseri umani si nascondevano in locali sotterranei come questo.

Il suono acuto di una sirena avvertiva che sarebbero passati gli aeroplani a sganciare le pentolone micidiali e gli uomini si affrettavano dentro il rifugio perché, da li a breve, sarebbe iniziato il finimondo!

Scoppi; esplosioni; urla; crepitii. Un baccano infernale che, di regola, durava qualche decina di minuti. Minuti lunghissimi che sembrava non passassero mai.

Poi, all’improvviso, tornava il silenzio.

Normalmente un altro suono di sirena indicava che si poteva uscire e che gli aerei si erano allontanati.

A volte però, il secondo suono non arrivava perché, ad arrivare, erano, invece, altri aerei con altre bombe.

Mi ricordo di una volta in cui siamo rimasti chiusi qui dentro per una notte intera per via di continue ondate di bombardamenti.

In questa stanza, dove ci troviamo proprio ora, c’era sempre un odore fortissimo, quello della paura.»

«Per tutti i formaggi! Che storia incredibile» esclamai e, curioso, domandai: «Ma perché gli animali a due zampe si facevano la guerra?»

Il vecchio ratto mi guardò dritto negli occhi e rispose scuotendo la testa sconsolato: «Sembra che due capi branco umani volessero conquistare il mondo. Non che ne avessero bisogno, ma erano convinti fosse necessario. Così iniziò una guerra spaventosa tra questi due signori, purtroppo aiutati da molti , e tutti quelli che non la pensavano allo stesso modo. Questo massacro durò sei anni e furono uccisi più di sessanta milioni di uomini.

Vedi, giovane roditore, gli esseri umani sono tanto intelligenti quanto stupidi! Sono così in gamba da inventare delle macchine che volano ma anche così stolti da non essere capaci di mettersi d’accordo. La storia insegna che gli uomini, spesso , piuttosto che trovare una intesa, un compromesso per non bisticciare tra di loro, preferiscono scontrarsi e uccidersi l’uno con l’altro.»

«Mi sembra incredibile!» esclamai ma, nello stesso istante, mi venne in mente un articolo che mi aveva fatto leggere il mio amico Tupun in biblioteca in cui c’era scritto che, nel mondo, ancora oggi, ci sono più di cinquanta conflitti armati. Cinquanta guerre, e alcune che durano da decenni. Centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini uccisi ogni anno!

Ci fu un momento di silenzio poi il vecchio ratto volle guidarmi, lentamente, a visitare la stanza. Non che ci fosse molto da vedere, ma “il topo del rifugio” sembrava tenerci molto.

«Vedi quella sedia li, tutta rotta, contro il muro?» mi domandò interrogativo.

«Certo!»risposi io.

«Ebbene» continuò l’anziano topone: «Li si sedeva sempre una bambina che aveva due bellissimi occhi azzurri. Si chiamava Elisa e teneva sempre, stretta in braccio, la sua bambola di pezza.

Quando iniziava il bombardamento molti bambini come lei iniziavano a piangere o ad urlare dalla paura. Lei no. Lei si metteva a cantare. Era una cantilena che raccontava di un topo che scappava da dei gatti e si nascondeva nella sua tana, al sicuro. Io ero spaventato come tutti, ma quella canzoncina ….mi distraeva e mi tranquillizzava.»

Subito dopo l’ anziano topone mi fece notare una cosa a cui non avevo fatto caso prima.

Dai muri umidi e sporchi sporgevano quattro pezzi di metallo e mi spiegò che, spesso, durante i bombardamenti la luce elettrica andava via e allora, si accendevano delle candele che venivano infilzate in quelle strutture di metallo.

Fissando il muro, mi accorsi che proprio a fianco di uno di quei strani portacandele c’era una scritta che, a differenza delle altre era leggibile. C’era una data:  “cinque gennaio millenovecentoquarantatre” e accanto, una frase che mi colpì tantissimo: “Ho paura.”

Rimasi a fissare quella iscrizione e immaginai, per pochi istanti,quanta sofferenza doveva aver provato chi aveva scritto quelle parole.

«Forse» pensai : «L’aveva scritta quella bambina che cantava.»

Il vecchio topone che mi accompagnava capì i miei pensieri e disse: «Si giovane topo, quella iscrizione è di Elisa. Cantava ma aveva paura, tanta paura. La guerra è questo!È angoscia e dolore. Impara dalla storia topino!»

Non nego di essermi sentito in colpa. Io quando ero piccolo e andavo a scuola la storia la trovavo noiosa, poco interessante e piena di date e nomi da imparare a memoria ma…sicuramente mi ero sbagliato!

Il “topo del rifugio” mi diede una pacca sulla spalla e mi salutò quindi, lentamente, si diresse verso un angolo scuro della stanza.

Salutai e ringraziai il mio nuovo amico: «Grazie “topo del rifugio”. Oggi ho capito che è importante sapere del passato per non sbagliare nel presente.»

Quindi, con non poca fatica, risalii lungo la stradina tra i muri.

Fuori dal rifugio mi aspettava una giornata bellissima con il sole alto e caldo. Davanti a me un prato verde e tanti alberi e in quell’istante compresi quanto sono fortunato a non aver mai dovuto provare le paure di quel povero topone e della piccola Elisa.

(Dedicato a nonna Elisa)